L’utilizzo di mascherine FFP2, sempre più diffuso da obblighi e raccomandazioni in diversi Paesi, Italia inclusa, ha portato a un’esplosione della domanda che, tra le diverse conseguenze, rischia di avere ripercussioni sulle forniture a livello globale.A rendere ancora più intricata la situazione è il fatto che si tratta di dispositivi monouso, dunque di norma utilizzabili una sola volta, sebbene fin dall’inizio della pandemia di Covid diverse ricerche abbiano indicato la possibilità di decontaminazione e riutilizzo senza compromettere la performance filtrante.
In tal senso, nuove prove
condotte dai ricercatori del Deaconess Medical Center di Boston, negli Stati
Uniti, hanno confermato che le mascherine FFP2 (chiamate anche KN95 o solo N95)
possono essere sterilizzate più volte senza pregiudicare la loro efficienza. In
particolare, gli studiosi hanno testato quali sono gli effetti di un processo
di decontaminazione che richiede l’uso di perossido di idrogeno vaporizzato
(VHP), un metodo basato sull’uso di vapore a bassa temperatura in condizioni di
vuoto profondo, dimostrando che anche dopo 25 cicli di sterilizzazione, le
mascherine FFP2 comunque in grado di filtrare l’aria che respiriamo.
“Abbiamo cercato di determinare se la ripetizione del
trattamento VHP avrebbe influito sull’integrità delle mascherine, in termini di
adattamento qualitativo e quantitativo e di efficienza della filtrazione” ha
spiegato il team che ha reso noti i risultati delle analisi in uno studio
pubblicato sull’American Journal of Infection Control.
I dati hanno mostrato che il
processo di decontaminazione con perossido di idrogeno vaporizzato non
influisce sulla performance delle mascherine. “Non abbiamo riscontrato
differenze statisticamente significative nell’adattamento qualitativo e
quantitativo o nell’efficienza di filtrazione” hanno precisato gli studiosi che
hanno osservato come la capacità filtrante sia rimasta al di sopra del 95%
anche dopo 25 cicli di trattamento. “Il perossido di idrogeno vaporizzato –
hanno aggiunto i ricercatori – è un’opzione efficace e potrebbe aiutare ad
affrontare le carenze in future epidemie”.
Il processo, tuttavia, richiede
camere di sterilizzazione specializzate per la vaporizzazione che, al di fuori
di contesti ospedalieri e di laboratorio, non sono chiaramente disponibili per
la maggior parte delle persone. “Pertanto – ha osservato l’autrice principale
dello studio, la dottoressa Christina Yen – , ora è importante trovare il modo
di ridimensionare e tradurre questa capacità di disinfezione in altri contesti,
così come in strutture sanitarie con risorse limitate. Queste potrebbero
beneficiare altrettanto, o forse più di altri contesti, di questo tipo di
trattamento dei dispositivi per affrontare futuri scenari pandemici”.
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